Parco Naturale del Conero: un avamposto d’Appennino sul mare

Parco Naturale del Conero: un avamposto d’Appennino sul mare

Trait d’union tra resine di pini ed effluvio di salsedine

Nelle giornate terse, camminando sulla battigia vellutata delle spiagge che incorniciano l’Adriatico tra le foci del Foglia e del Misa, con lo sguardo rivolto verso Scirocco, non si può fare a meno di essere catturati dal profilo geometrico (il poeta pesarese Gianni D’Elia lo ha definito «Scaleno bruno») di un anomalo avamposto d’Appennino sul mare.

Il Cònero, incastonato fra le anonime e orizzontali prospettive degli arenili adriatici, rappresenta un baluardo totemico, una Montagna Madre, dove convivono e si armonizzano gli opposti: le resine dei pini si mescolano al pungente effluvio di salsedine, i lentischi e i corbezzoli del versante meridionale cedono il passo ai càrpini e agli aceri dei pendii che digradano verso la tormentata e instabile falesia dei “grottaroli” anconetani, i sentieri del lavoro si intersecano con quelli calcati dai sandali dei Camaldolesi.

Sintesi mediterranea

Il parco offre luoghi di grande suggestione, tra il verde della vegetazione e l’azzurro del mare. Ricco di ambienti assai diversi tra loro che vanno dalle falesie costiere a boschi, torrenti, laghetti salmastri, zone agricole, zone collinari e spiagge. Autentiche meraviglie si rivelano agli occhi dei visitatori del Parco, come la baia di Portonovo, la spiaggia delle “Due Sorelle” (chiamata in questo modo per i due scogli gemelli che emergono dalle acque limpide del mare, assomiglianti a due suore in preghiera) e il Pian Grande. Tra le spiagge naturali, anche quella dei “Sassi Neri”, libera e selvaggia, e la spiaggia di “Mezzavalle”, lunga e bianca, raggiungibile solo via mare o tramite due ripidi sentieri. Interessanti i “laghetti” di Portonovo: Lago Profondo e Lago Grande vere e proprie lagune di acqua salmastra. La loro formazione è dovuta ad una frana in epoca preistorica che ha generato anche l’intera baia di Portonovo.

Il fertile amplesso tra mare e montagna

Luogo di una bellezza da togliere il fiato e il sonno, come mi capitava da bambino, quando la sera prima di raggiungere con i miei genitori Mezzavalle, incantevole virgola di ghiaia tra Portonovo e il Trave, passavo la nottata ad occhi aperti al solo pensiero di immergermi in quelle acque color bosco che sprigionavano l’odore sensuale di un mare rivitalizzato dal contatto con i calcari della nostra spina dorsale appenninica.

A conferma del fertile amplesso tra mare e montagna (una delle ipotetiche etimologie del toponimo Cònero è composta dai termini greci κύμα=onda e όρος=monte), dentro quelle pietre scava con rigore scientifico la propria dimora il ballero (Pholas dactylus), mollusco “perforatore” simile al più noto dattero; aggrappato ad esse colonizza il fondale il mòsciolo selvatico (cozza dal sapore unico, Presidio Slow Food), vero e proprio cardine ed orgoglioso vanto della gastronomia locale.

Scrigno di biodiversità

Il Cònero è sintesi mediterranea, è Zacinto foscoliana, è Provenza nelle piazzette di Varano, Poggio, Massignano e Sirolo, è l’arte dell’incontro nel romanico lombardo-bizantino di Santa Maria di Portonovo, è anacoretismo d’Oriente nelle grotte del Mortarolo e di San Benedetto, è mitologia greca nelle sue correnti marine, nelle fronde d’alloro e nella cordiforme e tentacolare lianosa salsapariglia (Smilax aspera), ribattezzata “stracciabraghe” tra i pastori e i contadini dell’Italia centrale.

In questo piccolo scrigno di biodiversità (sono ben 1102 le specie arboree attualmente censite nel Parco) Natura e Cultura dialogano insieme da millenni, come testimoniano le enigmatiche incisioni rupestri di Pian de Raggetti, i forni da pane del Neolitico della località Poggio e le cave di calcarenite di epoca romana.

Non vi è angolo di questo promontorio che non parli del fragile e delicato rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Ne sono testimonianza le cave dismesse nei pressi di Fonte d’Olio, dove le ferite inferte alla schiena del Cònero hanno riportato alla luce un sito geologico di importanza mondiale.

L’arte di essere fragili

Così come ad inizio Novecento, dopo secoli di sfruttamento selvaggio delle risorse boschive, è stato necessario un massiccio ripopolamento arboreo per scongiurare il rischio che il Cònero diventasse un pachidermico scoglio, glabro e sterile.

Le celebri silhouettes oranti delle Due Sorelle non sono altro che il frutto dell’implacabile erosione marina, così come la brulicante baia di Portonovo e i suoi laghi, altro non sono che il risultato di una colossale frana staccatasi da Pian Grande.

“L’arte di essere fragili” è il titolo di un libro di Alessandro D’Avenia dedicato a Giacomo Leopardi ed è un’espressione che ben si confà a questa gigantesca balena verde, adagiata proprio di fronte al «natìo borgo selvaggio», splendida nella sua precarietà e nella sua ricerca incessante di rigenerarsi attraverso il tormento e la complessità, espressione geografica di incanto Infinito: «E il naufragar m’è dolce in questo mare».

 

Gianluca Nicolini